Viaggio nei cacao dell’Ecuador

 

Reportage di Roberto Caraceni

 

A dicembre dello scorso anno sono stato in Ecuador. Ho scelto questo paese per il mio viaggio annuale alla scoperta dei cacao trattandosi di un paese dove si producono qualità interessanti, come vedremo, nonché uno degli esportatori di maggiore rilievo, in particolare per quanto riguarda il cacao fino de aroma.

L’Ecuador è un paese difficile, i problemi sono molti, a cominciare dall’elevata criminalità, principalmente fondata sul traffico di stupefacenti; l’economia è traballante e le nicchie di povertà non mancano.

Quito, la capitale, si trova a un’altitudine di ben 2.800 metri, che rende il clima piacevole e del tutto differente dalle zone di coltivazione del cacao. Il principale contatto sul posto che avevo preso prima di partire era rappresentato da Gaetano Servidio, una persona di grande disponibilità che mi ha accolto con entusiasmo. Gaetano vive in Ecuador da 16 anni, e si occupa ora di cacao anche con l’intento di aiutare alcune comunità povere; il suo progetto prevede il miglioramento delle strutture di fermentazione ed essiccazione, nonché una didattica per i coltivatori per far sì che abbiano le conoscenze adeguate per produrre un cacao migliore e quindi averne maggiori introiti. Ho passato con lui alcuni giorni e insieme siamo andati a visitare diverse coltivazioni nella zona di Esmeraldas, di cui vi sto per raccontare.

 

Il Nacional

Prima di addentrarmi nei dettagli, devo dire che la situazione generale del cacao che ho riscontrato in questo paese è più o meno la solita che si verifica anche negli altri paesi coltivatori: poca professionalità, scarse conoscenze da parte dei coltivatori, strutture scadenti e fatiscenti, disinteresse nel migliorare il prodotto. Detto così sembra un disastro, ma non mancano le eccezioni, per fortuna, alcune realtà di pregio dove il cacao è ben curato e le giuste conoscenze in materia non mancano. Diciamo subito che l’Ecuador ha dalla sua parte il vantaggio di possedere tipologie genetiche di cacao di grande qualità. Su tutte, spicca il Nacional, o Arriba, un cacao di grande eleganza, molto aromatico, uno dei più utilizzati al mondo nell’ambito della cioccolateria di alto livello. È adatto sia per tavolette monovarietà che per miscele. La sua impronta distintiva è l’aroma secondario di banana matura: un vero e autentico Nacional di qualità deve avere un secondario di banana, altrimenti non si tratta della migliore qualità di questo cacao.

Come spesso accade, visitando diverse coltivazioni si incontrano agricoltori pronti ad affermare che questa o quella pianta è di autentico Nacional, ma si tratta a volte di indicazioni ottimistiche, risultato di un mix tra orgoglio personale e scarse conoscenze in materia. Il problema, in realtà, è sempre lo stesso, riscontrabile quasi ovunque si coltivi cacao: l’ibridazione. La natura tropicale è potente, libera, attiva; le piante sono libere di incrociarsi con le proprie vicine, propagando così, passo dopo passo, il patrimonio genetico di qualità di cacao che poco hanno a che fare con la purezza di una singola tipologia; in altre parole, sono ben poche le coltivazioni dove si fa attenzione che gli alberi di un determinato tipo di cacao non si incrocino con qualità differenti, affinché la purezza genetica venga mantenuta e garantita. Più spesso, invece, ci si imbatte in situazioni in cui le piante sono state ormai ibridate, “contaminate”, da altri tipi di cacao, creando incroci che vanno a penalizzare la qualità iniziale della pianta originale. È soprattutto per questo che tante piante etichettate come Nacional dai rispettivi proprietari si presentano in realtà con caratteristiche morfologiche diverse, che si riflettono poi anche in differenze aromatiche dei rispettivi cacao.

Una nota importante: il Nacional, pur essendo classificato come cacao aromatico, è in realtà un Forastero, rappresenta infatti una rara eccezione all’interno di questa famiglia di cacao. Come spesso succede per le qualità migliori, la pianta ha una bassa resa, con una produzione media annuale di 300-500 kg di cacao (fave fermentate ed essiccate) per ettaro.

L’Ecuador è il paese che vanta il maggior numero di varietà genetiche di cacao, e questo fa sospettare qualche studioso che questa sia proprio la patria di origine della pianta del cacao. La produzione nazionale è attualmente in crescita, proprio grazie alle buone caratteristiche di alcuni cacao locali, Nacional davanti a tutti; le esportazioni totali sono passate da 235.000 a 340.000 tonnellate in meno di un decennio e cresce dell'8% l'anno. Sono oggi almeno 150.000 le famiglie che traggono il proprio reddito dalla coltivazione del cacao, facendone una voce importante nell’economia del paese.

 

Il CCN-51

Prima di iniziare il viaggio virtuale nelle coltivazioni ecuadoriane devo però raccontarvi del vero attuale problema per i (buoni) cacao dell’Ecuador (e di altri paesi del sud America): il CCN-51 (Colleccion Castro Naranjal). Si tratta di una varietà creata alcuni decenni or sono con lo scopo di aumentare la produttività delle piante di cacao; quella del CCN-51 è infatti una pianta molto produttiva, con fave grandi, più facile da coltivare e più resistente alle malattie. In pratica, una vera panacea per i coltivatori! Queste piante arrivano a produrre fino a 4 volte quelle del cacao standard.

Peccato che la qualità del cacao sia decisamente scadente, con forte astringenza e amarezza, priva di aromi secondari, un cacao ostico e dal carattere grezzo. Viene infatti utilizzato soprattutto per preparare semi-lavorati (burro di cacao, cacao in polvere, …) e prodotti a base di cacao (merendine e dolciumi vari) e non tanto per realizzare tavolette di cioccolato. Anzi, dato che si parla così male di questo cacao, ho voluto fare la “prova definitiva”: ho riportato a casa un sacchetto di CCN-51 con cui ho poi preparato del cioccolato monovarietà al 75% (mi sono creato a casa un mini laboratorio bean to bar per fare esperimenti e prove a scopo di studio, ma poi il cioccolato lo regalo agli amici…. se è buono!). Ebbene il risultato è stato un cioccolato pessimo, improponibile, un prodotto che sarebbe invendibile. Aspettative confermate, dunque.

Il problema del CCN-51 è che piace molto sia a chi compra (le grandi multinazionali) che a chi coltiva e vende: ai primi interessa solo che la quantità sia maggiore possibile e il costo il minore possibile, mentre i secondi sono ben felici di poter coltivare un cacao che rende molto, che crea meno problemi e che vende facilmente. A entrambi questi attori le caratteristiche organolettiche interessano ben poco. Il risultato di tutto questo è che i grandi trader e acquirenti di prodotto a basso costo stanno convincendo facilmente i coltivatori a sostituire le proprie piante con il CCN-51, che garantisce loro una maggiore serenità economica; ricordiamoci che abbiamo a che fare con agricoltori poveri, che prediligono di un guadagno certo e regolare per essere in grado di garantire cibo alla propria famiglia. E così molte piante di cacao di tutto rispetto stanno cedendo il posto al triste CCN-51. Basti pensare che tra il 2005 e il 2013 la sua produzione è passata da 20.000 tonnellate l’anno a 100.000! Lo stesso Ministero dell’Agricoltura ecuadoriano appoggia la diffusione del CCN-51, tanto che nel 2005 lo ha dichiarato «bene ad alta produttività» e quindi ne promuovere la produzione, commercializzazione ed esportazione. E noi che vorremmo un mondo di Porcelana e Chuao…

 

Cube

Le aree di coltivazione seguite da Gaetano si trovano tutte nella zona di Esmeraldas, nel nord-ovest del paese. Questa cittadina è localmente nota, oltre che per il cacao, per essere il cuore dei traffici dei narcotrafficanti; appena arrivati sul posto, il tassista ci ha detto che nei tre giorni precedenti al nostro arrivo c’erano stati, solo in città, qualcosa come 61 omicidi! Non molto tranquillizzante. Nei 4-5 giorni di nostra permanenza sul posto, una sera proprio davanti al nostro alloggio (uno studentato cattolico) è stato rapito un uomo. Ma occupiamoci del cacao. La prima visita mi ha portato nella zona di Cube, dove ho trovato alcune qualità di cacao degne di nota, pur trattandosi dei soliti ibridi, nonché alcune immancabili piante etichettate come puro Nacional dai coltivatori del posto. Anzi, ci hanno tenuto a specificare che il Nacional si può presentare in tre colorazioni diverse: verde, rosso e giallo. Già questo fa pensare che l’autenticità della pianta sia un vecchio ricordo.

Ed ecco che entra in scena il CCN-51: proprio a fianco (a pochi metri) di queste piante che vorrebbero produrre un cacao di qualità sono presenti altre parcelle coltivate con CCN-51, di conseguenza l’ibridazione è inevitabile. Le caratteristiche genetiche del cacao locale si sono perse, almeno in parte; si tratta ancora di un discreto cacao, peccato però che senza tale contaminazione si sarebbe ottenuto un prodotto ancora migliore. Qui i coltivatori mi raccontano di vendere il cacao a 2.800 $ (per tonnellata), mentre il cacao “coriente”, quello standard, sta a 1.800 $.

 

Chumundé

La seconda gita aveva come destinazione Chumundé, dove ho trovato piante molto interessanti a fianco di altre dall’aria più “forastera”, una sorta di blend naturale che sfocia comunque in una valida materia prima, con una buona percentuale di cacao aromatico. Proprio con questo cacao, non a caso, Maglio realizza un monovarietà 85% che porta lo stesso nome della località.

Qui le casse di fermentazione sono del tipo a cascata, una serie di 4, che possiamo considerare già una buona struttura.

 

San Miguel

Il giorno seguente mi aspettava una delle esperienze più belle e profonde che si possano fare in natura. La comunità di San Miguel si trova sperduta nella foresta, quasi isolata dal mondo in quanto non vi sono strade che la raggiungono; l’unica via di accesso è il fiume. E così abbiamo fatto ben 3 ore di canoa (a motore, per fortuna) risalendo il fiume per ben 70 km per raggiungere questa incredibile località. Per queste persone il fiume è tutto: non solo l’unica via di contatto col mondo moderno ma anche una fonte d’acqua per lavarsi, per irrigare, per cucinare, nonché una fonte di cibo. Qui la corrente elettrica è arrivata solo un anno fa, portando improvvisamente queste persone da una vita quasi primitiva a una quasi moderna, se pure con molti limiti. In queste zone vivono le comunità dei Chachi, popolazione di ancestrali origini che parla una propria lingua, il Cha-palà; tanto che quando Gaetano ed io parlavamo con i coltivatori, in spagnolo, poi uno di loro, padrone di entrambe le lingue, traduceva per gli altri in Cha-palà.

Girando per la piantagione mi sono imbattuto in diverse cabosse con evidenti influenze di Criollo o almeno Trinitario, con fave dal colore interno chiaro, tendente al rosaceo, un buon segnale.

Le strutture di fermentazione ed essiccazione sono sicuramente migliorabili, ed è proprio quello che sta cercando di fare Gaetano, portando avanti un progetto di miglioramento dei cacao di questa zona anche grazie a fondi statali (arriveranno mai?). Le potenzialità sono comunque buone.

 

Mediania

La meta successiva è stata Mediania, un’altra comunità Chachi raggiungibile anch’essa solo via fiume; si trattava questa volta di un corso d’acqua più piccolo, in quel periodo anche con scarsità di acqua, tanto che in alcuni tratti la canoa si incagliava e andava spinta avanti facendo leva con un bastone (da notare nella foto la presenza di un fucile a prua…).

Prima di prendere la canoa, però, nella località di partenza mi sono imbattuto in una struttura di ricezione del cacao fresco, così detto “in bava”; qui vengo a scoprire che il cacao viene fermentato (per così dire) solo parzialmente… lasciandolo per un paio di giorni chiuso nei sacchi! Orrore! Non si può neanche considerare una fermentazione, per un purista del cacao è solo qualcosa di osceno. Ho poi saputo che si tratta di una pratica piuttosto diffusa in zona, qui c’è proprio bisogno di una guida che possa indirizzare i coltivatori verso metodologie di lavoro migliori.

A Mediania tra frutti di colori e forme diverse, ho un picco di entusiasmo quando trovo il Sacro Graal del cacao: le fave bianche! Un vero Criollo! Finalmente, ero sicuro che da qualche parte dell’Ecuador lo avrei trovato. I cacao con le migliori genetiche, quindi con fave più bianche, sembra comunque siano più diffusi nell’interno, lontano dai fiumi, più difficili da raggiungere e forse anche per questo rimasti più puri.

 

Tampillo

L’ultima avventura in compagnia di Gaetano aveva come destinazione Tampillo, raggiungibile in fuoristrada. Qui ho trovato piante più vicine al Forastero che non al Criollo, in alcuni casi con qualche ibridazione con CCN-51, anche se qualche buon esemplare non mancava, come alcune cabosse di (forse) Trinitario. L’unico risvolto positivo della presenza ravvicinata di così tanto CCN-51 è che l’ibridazione funziona anche in senso inverso: vale a dire che mentre queste piante vanno a peggiorare la qualità dei cacao migliori, questi ultimi vanno a migliorare, anche se di poco, la qualità di questo scadente cacao.

 

Chicao

Lasciata la compagnia di Gaetano, mi sono spostato per mio conto leggermente più a sud di Esmeraldas, alla ricerca di altre piantagioni. Da qui, facendo base a Puerto Quito, ho avuto il piacere di visitare Chicao, una “finca” gestita da una singola famiglia che nelle proprie strutture offre anche servizi di B&B, pasti, gite e una piccola scuola di cioccolateria. Il proprietario è un medico in pensione.

La particolarità della coltivazione qui presente è che le piante vengono lasciate crescere nella foresta nel loro ambiente naturale, in mezzo a tanti altri alberi di tipo diverso, molti dei quali producono frutti; non un appezzamento di terreno dedicato al cacao, quindi, come in genere avviene, ma una foresta tropicale con una presenza maggioritaria di piante di cacao. A detta del suo proprietario, questo conferirebbe al cacao maggiore aromaticità, assorbendo i profumi delle piante vicine.

In effetti quando ho assaggiato un 100%, pura massa da lui stesso preparata, sono rimasto positivamente impressionato dalla sua dolcezza, dalle caratteristiche affatto estreme, anzi piacevoli e morbide, non avrei mai detto fosse un cioccolato così puro. Un ottimo segnale. La fermentazione viene fatta per soli 4-5 giorni, altro buon indizio. Il boss mi ha detto che nella sua “finca” hanno 75 genotipi di cacao diversi e che Chicao partecipa alle ricerche del genetista Motamayor, che gli esperti di cioccolato conoscono bene essendo attualmente uno dei più grandi studiosi di genetica del cacao.

Anche di questo cacao ho riportato a casa un campione con cui ho preparato tavolette 75%, che hanno confermato l’ottima impressione avuta sul posto: eleganza e aromaticità. Loro stessi producono anche cioccolato, ma con i macchinari che hanno, non certo di grande qualità, sicuramente non riescono a valorizzare al meglio la materia prima di cui dispongono.

 

Los Rios

Il passo successivo mi ha portato a Los Rios, ben più a sud, dove in compagnia di Alejandra ho potuto vedere diverse piantagioni. In questa zona mi è sembrato di riscontrare una maggiore presenza di Amelonado, il più diffuso dei Forastero. Anche qui c’era un’ampia presenza di CCN-51 che, come detto in precedenza, sta incontrando i favori di molti coltivatori. Devo dire che non ho visto cacao clamorosi, ma, come sempre, qualcosa di migliore si incontra sempre, come alcuni frutti interessanti che mi sono stati presentati come Trinitari.

Il tour ha incluso anche una sosta in una casa dove Alejandra aveva riunito alcune persone per insegnare loro a preparare il cioccolato, col fine in futuro di proporli in vendita, ma siamo ben lontani da un’attività professionale. Basti pensare che non possono temperare il cioccolato (l’acquisto di una temperatrice sarebbe improponibile) in quando la temperatura d’ambiente è sui 32-33 gradi, quanto basta a rendere impraticabile l’operazione.

Interessante è stato scoprire che qui stanno sviluppando due nuovi cloni, denominati 800 e 801, che, a detta dei loro utilizzatori, avrebbero caratteristiche organolettiche migliori del CCN-51 e sarebbero anche più produttivi; se tutto questo è vero, ne sentiremo parlare.

In complesso, potrei dire di avere riscontrato qui una qualità media di cacao leggermente inferiore rispetto alla zona di Esmeraldas.

 

Las Villegas

L’ultima zona oggetto di visita è stata quella di Las Villegas, a ovest di Quito. A volte è interessante anche vedere piantagioni trovate per caso, che spesso rappresentano meglio la situazione più diffusa nel paese. E qui ho trovato genetiche di cacao e pratiche di lavorazione più scadenti.

L’area era cosparsa di parcelle coltivate solo a CCN-51, e anche le pratiche di post-raccolta erano molto discutibili. Ho parlato con un intermediario il quale mi ha raccontato di comprare il cacao dai coltivatori a 90 $ per 100 libbre (45 kg) per poi rivenderlo a 4-5 $ in più; compra anche cacao fresco, in bava, che lascia uno o due giorni nelle casse di legno senza mai girarlo, lo chiamano semi-fermentato… Se lo fermentasse per bene glielo pagherebbero uguale, mi ha detto, ecco qual è il problema. Un altro intermediario che ho trovato mi ha mostrato la sua struttura di fermentazione/essiccazione del CCN-51: un vascone enorme in cemento dove il cacao in bava, disposto in uno strato di 30-40 cm, viene lasciato per 3 giorni; inizialmente viene girato ogni 30 minuti circa, poi sempre meno spesso. Dice di riservare lo stesso processo anche al Nacional… Chissà dove va a finire questo cacao così maltrattato, ma un’idea ce l’abbiamo.

 

A fine viaggio, devo dire che è stata un’esperienza molto bella e formativa, per le mie conoscenze sul cacao ma anche per alcuni aspetti sociali, emotivi.

L’Ecuador è ancora il prezioso scrigno che racchiude il valore del Nacional, ma, come sempre, occorrerebbe una spinta verso la sua valorizzazione, la sua diffusione. Questa spinta dovrebbe arrivare come prima cosa dal Ministero dell’Agricoltura, che dovrebbe interessarsi alla formazione dei coltivatori e alla valorizzazione del patrimonio cacaotero nazionale, e invece questo organo di stato fa esattamente il contrario cercando di favorire il CCN-51. Evidentemente è proprio il Ministero il primo a dovere essere formato.

24 marzo 2023