Cacao delle Filippine: emergente e promettente

Racconto di un viaggio tra i cacao del paese asiatico

Il cacao filippino è tutt’altro che conosciuto, anzi, il consumatore comune ignora del tutto che in tale paese si coltivino i preziosi semi, e perfino tra i professionisti c’è chi ne ignora l’esistenza. In effetti le Filippine occupano circa il venticinquesimo posto nella classifica mondiale dei paesi produttori, con una quantità che si aggira intorno alle 8 tonnellate per anno. Ma a noi, più che la quantità, interessa la qualità. E così, dopo aver assaggiato diverse tavolette monorigine filippine, ho deciso di dedicare a questo paese il mio annuale viaggio nelle coltivazioni di cacao.

 

Per conoscere il cacao delle Filippine occorre recarsi sull’isola di Mindanao, dove viene coltivato quasi tutto il cacao nazionale. Siamo vicini all’equatore, lato nord, tra i 5 e i 10 gradi di latitudine. Il clima è molto caldo e umido… decisamente troppo per chi arriva da Trento! Ma il cacao è ben lieto di prosperare in questo ambiente.

La storia delle Filippine ha visto, in passato, importanti dominazioni straniere, in particolare da parte degli spagnoli e degli inglesi, tanto che oggi la lingua ufficiale è quella anglosassone e le fonetiche ispaniche sono anche molto frequenti. La presenza spagnola del passato è stata la fortuna del cacao del presente: furono infatti proprio gli spagnoli a portare nel paese le prime piante di cacao; la loro dominazione del centro America fece sì che i primi cacao arrivarono proprio da quelle zone, si trattava quindi di genetiche di ottima qualità, in particolare Trinitari e qualche Criollo. Fu così che i filippini scamparono il “rischio Forastero”, che invece si diffuse molto ampiamente a partire dal Brasile verso molti altri paesi, in particolare quelli africani. È proprio per questo motivo che attualmente qui il cacao è costituito da Trinitario per oltre il 90%, con qualche piccola presenza di Criollo e molto moderata di Forastero. Una bella fortuna! Raramente capita di trovare un paese in cui la grande maggioranza delle genetiche di cacao sia di alta qualità. Le Filippine furono inoltre il primo paese asiatico a ricevere piante di cacao.

Eppure, fino a qualche anno fa quasi tutto il cacao nazionale non veniva fermentato ma solo essiccato e venduto a basso costo ad aziende che lo utilizzavano principalmente per ricavarne cacao in polvere e burro di cacao. In pratica non era affatto valorizzato, anzi, potrei dire che venisse letteralmente mortificato da un utilizzo non degno della sua qualità. Poi si è cominciato a capire di trovarsi di fronte a una materia prima di ottima qualità e con potenzialità tutte da sfruttare, che potesse e dovesse avere destinazioni migliori, e così molti coltivatori, anche su richiesta dei cioccolatieri, sono passati a procedure di post-raccolta migliori, che includessero la fermentazione e che fossero più controllate, più professionali. I cacao delle Filippine hanno iniziato così a farsi conoscere e a dare origine a un numero sempre crescente di tavolette monovarietà, fondenti di grande eleganza, delicati e aromatici, che riflettono tutte le caratteristiche e le qualità dei cacao di provenienza. Globalmente parlando, non sono ancora molte le tavolette realizzate con cacao filippino, ma sono in aumento proprio in quanto sempre più produttori stanno scoprendo le potenzialità di questi cacao. Nel nostro paese credo che solo Macondo e Pura Delizia producano monovarietà filippini, ma anche Bagai ci sta lavorando per una prossima probabile uscita.

La riscoperta locale di questi buoni cacao ha portato anche alla nascita di alcune valide aziende interne al paese, che in realtà non vanta una grande tradizione nel consumo di cioccolato in tavolette; più diffuso, invece, è l’utilizzo del cacao per produrre la bevanda, altra eredità della vecchia cultura coloniale spagnola che a sua volta aveva attinto dagli usi e costumi delle popolazioni centro americane precolombiane. Oggi, le Filippine possono vantare produttori di buon livello come Auro, Tigre y Oliva, Cacao de Davao, Cacao de Biao, Malagos, Sikwate, Theo & Philo.

Ho avuto modo di visitare diverse coltivazioni sull’isola di Mindanao e di conoscere quindi da vicino i cacao del posto. Mi ha colpito in particolare l’omogeneità delle varietà coltivate, intendo dire che in qualunque coltivazione mi recassi trovavo più o meno sempre le stesse varietà genetiche; infatti nelle Filippine si trovano complessivamente un numero molto limitato di varietà differenti, evidentemente figlie degli ibridi che si sono originati dalla genetica importata dagli spagnoli secoli or sono. I loro nomi non dicono molto a chi non è del posto: W10, UF18, BR25, PG, PBC123, K2 e poco altro. Sono Trinitari, con una deriva più o meno marcata verso il Criollo. E infatti ho avuto il piacere (direi quasi l’emozione…) di incontrare i tanto rari e ricercati semi completamente bianchi all’interno: prova di genetica pura Criollo al 100%! In media, comunque, le fave che ho visto avevano un colore rosato, talvolta un porpora chiaro con sfumature verso il bianco, diciamo il tipico colore del Trinitario, a indicare una carica di tannini e polifenoli presente ma moderata. Proprio quello che ci vuole per dare origine a tavolette di grande eleganza e aromaticità. Mi ha colpito in particolare il W10 per la grandezza delle sue fave, una caratteristica molto apprezzata da chi lavora il cacao: forse le fave fresche più grandi che abbia mai visto (vedi foto).

Ma nei campi di cacao delle Filippine mi sono anche imbattuto in qualcosa di veramente inusuale: frutti di cacao, ancora sulle piante, avvolti in sacchetti di plastica. La plastica è famosa per non essere proprio amica di flora e fauna, e vederla abbracciare frutti ancora in crescita fa insorgere qualche perplessità. Ovviamente ho chiesto delucidazioni sugli scopi di questo desueto trattamento, scoprendo che viene usato per proteggere le cabosse dagli insetti e da possibili contagi da parte di microrganismi patogeni: in questo modo si può fare a meno di utilizzare antiparassitari, col doppio vantaggio di un risparmio economico da parte dei coltivatori e di ottenere un prodotto privo di sostanze chimiche. Ma funziona davvero? Mi è stata presentata come una plastica realizzata appositamente per questo scopo, biodegradabile, naturale. Ho condiviso alcune delle mie incursioni nelle piantagioni con una ragazza francese che di professione si occupa di chimica, anche lei curiosa di conoscere l’effettiva composizione di questa plastica; a tale scopo, ha portato con sé due di queste bustine promettendomi che le avrebbe analizzate nel suo laboratorio al termine del suo viaggio e proprio pochi giorni fa mi ha comunicato l’esito delle analisi: normalissima plastica comune! Polietilene, per la precisione. Una tipica falsa informazione, come molte ne circolano in quei paesi. A tal proposito stiamo avvisando i coltivatori locali dei quali abbiamo un riferimento. 

La perplessità maggiore su questa pratica è relativa alla possibile formazione di muffe sul frutto, dato che l’umidità è sempre alta e l’acqua piovana ristagna regolarmente tra la buccia del frutto e la plastica. Interrogando più coltivatori su questo rischio, la loro risposta suggerisce che in effetti un certo rischio ci sia, ma solo in caso di diversi giorni consecutivi di pioggia e privi del caldo sole tropicale. Sarà…. Fatto sta che alcuni agricoltori spruzzano un antifungino prima di imbustare i frutti sull’albero. Ho però anche visto molta di questa plastica lasciata sul terreno assieme alle scorze dei frutti, una volta raccolti ed estratti i semi; questo, anche se le buste fossero state biodegradabili, comporta comunque che i costituenti della plastica, una volta degradata, vengano assorbiti dal terreno che in questo modo modifica la sua composizione chimica, impattando così sulla biologia delle piante di cacao. Non proprio una bella mossa.

 

Auro

Auro è un’azienda di recente nascita e cresciuta molto rapidamente, caratteristica che accomuna diverse realtà di produzione cioccolatiera interne al paese proprio per quanto detto in precedenza. Oggi le loro tavolette sono le più diffuse e conosciute a livello mondiale tra quelle prodotte complessivamente nel paese.

L’azienda si trova a circa 50 km da Manila, mentre il loro cacao arriva quasi tutto da Mindanao, ne utilizzano una decina diversi. Il personale è giovane, preparato o orgoglioso di fare parte di questa famiglia; solo per la produzione, impiegano 60 persone su 2 turni di 12 ore, l’azienda è attiva 24h e i macchinari sempre in funzione! Lavorano una tonnellata di cioccolato al giorno, con prospettive di crescita. Fanno oltre 100 prodotti diversi, inclusi semilavorati, nonché cioccolati per altri marchi.

Gli ambienti sono moderni e curati, così come i macchinari. La tecnologia però non ha ancora coperto tutte le fasi della lavorazione: colatura, smodellaggio e confezionamento vengono svolti totalmente a mano, come spesso accade nei paesi asiatici. Effettuano anche la fase di concaggio e, curiosità, a seguire fanno ancora un ulteriore passaggio di raffinazione. Complessivamente una buona realtà, anche tenuto conto del livello medio della professionalità e tecnologia diffusi nel paese.

Ho anche avuto modo di visitare alcune delle piantagioni che approvvigionano l’azienda, il lavoro sui campi mi sembrava svolto piuttosto bene. Hanno soprattutto le genetiche W10 e UF18. A detta dei coltivatori, sui terreni che in precedenza ospitavano coltivazioni di banane non c’è stato bisogno di fertilizzare per i primi 2 o 3 anni in quanto già ricchi di potassio; quando il potassio scarseggia, le fave di cacao nascono più piccole, e così dopo il periodo iniziale ora fertilizzano per arricchire il terreno di questo componente chimico. Fanno anche uso di fertilizzanti bio ma, essendo alquanto costosi, li producono da sé e talvolta usano anche feci e urina di capra. Prima della fermentazione lasciano scolare il cacao per 12-24 ore, allo scopo di fargli perdere una parte della mucillaggine, altrimenti l’acidità delle fave risulterebbe troppo alta. Ho potuto verificare che questa pratica è diffusa anche in altre coltivazioni. La fermentazione dura 5 giorni, con mescola ogni 2 giorni. Il loro cacao biologico viene venduto a circa 3€/kg.

Ho trovato piacevole e aromatico, in particolare, il loro cacao che viene da Paquibato, un prodotto che cresce senza essere fertilizzato ed è il risultato di una sorta di blend di diverse genetiche tra cui W10, BR25, PBC123, UF18. Ottengono 1 kg di cacao secco da soli 5-6 frutti.

 

Tigre y Oliva

Roberto Crisostomo, il boss di questa azienda, è un grande esperto. La sua cooperativa abbraccia quasi 500 coltivatori, con una media di solo un ettaro ciascuno, e le varietà di cacao sono solo 5: W10, UF18, BR25, Brasilian, Malesian. La fermentazione avviene in casse a cascata e anche in questo caso la durata è di 5 giorni, tempistiche tipiche dei cacao di discreta qualità. E anche in questo caso vengono usate le fatidiche bustine di plastica sui frutti. Le fave vengono mescolate, andando quindi a costituire una sorta di blend di zona. L’essiccazione su marchesine in legno dura dai 5 agli 8 giorni, ma non viene fatta in modo incrementale (come i migliori protocolli richiederebbero). Talvolta per asciugare il cacao più rapidamente utilizzano essiccatoi a fiamma, dall’aspetto alquanto arcaico; questo si rende necessario quando in poco tempo la quantità di cacao che giunge al centro di post-raccolta è troppo grande per potere essere essiccata tutta in modo naturale; per fortuna che questi macchinari separano la camera di asciugatura da quella dove passano i fumi, evitando almeno una inopportuna affumicatura delle fave. Alla fine, le fave vengono vagliate a mano per eliminare quelle troppo scadenti, il che va a tutto vantaggio della qualità media del prodotto.

Mi ha raccontato Roberto che la Mars, la mastodontica azienda americana, ora utilizza degli additivi in fase di fermentazione del cacao in modo da ridurne il tempo a solo 2 giorni; ma ho molti dubbi che il risultato sia altrettanto valido.

Tra le piante di cacao, talvolta, trovano posto anche altre colture che vanno a incrementare l’introito del coltivatore; in questo caso si trattava di zenzero e durian. Non conoscete il durian? È il frutto nazionale! E ha una particolarità: è il frutto più puzzolente del mondo! Il suo odore è così cattivo che, per legge, è vietato portarlo nei luoghi pubblici chiusi, come mezzi di trasporto o altro. La polpa però non è cattiva, è solo molto viscida e dalla tattilità burrosa.

Toto Muyco

Sikwate è il nome commerciale dell’azienda di Toto, che è il presidente delle associazioni dei coltivatori di Davao. Fino a poco tempo fa esportava parte del suo cacao tramite Silva, una delle più vivaci organizzazioni di import/export del cacao, ma ora non esporta più in quanto glielo pagano meno di quanto riesca a venderlo internamente al paese, vale a dire circa 4€/kg (solo il 10% in più per il biologico). Il prezzo del cacao filippino è praticamente raddoppiato negli ultimi 15 anni.

La zona di San Isidro è il cuore delle sue attività e, non a caso, anche il cuore della produzione e del commercio del cacao filippino. Anche qui le varietà genetiche non vengono mantenute separate, arrivano alla fase di fermentazione già mescolate. Qualche pianta di Criollo puro non manca, ho visto coi miei occhi alcune fave bianche. La fermentazione dura 6 giorni, con rimescola dopo 1-2-4 giorni, ma con verifiche tramite ghigliottina al quinto e sesto giorno. Il risultato è una media dell’80% di fave ben fermentate. Producono soprattutto semilavorati, in particolare 6 tonnellate al mese di massa; a proposito, un prodotto che si vende bene nelle Filippine è quello che chiamano Tableya: sono cialdine di massa di cacao (somigliano, come forma, ai noti Droste) che vengono usate per preparare la cioccolata in bevanda, molto gettonata nel paese. Vende anche una discreta quota di massa prodotta con fave non fermentate, che verrà utilizzata per produrre cacao in polvere e burro di cacao.

 

L’impressione generale è che il cacao delle Filippine debba essere ancora considerato per quello che vale e credo che molti cioccolatieri nel prossimo futuro lo inseriranno tra i propri monovarietà. Prepariamoci dunque a degustare sempre più tavolette filippine, aromatiche, eleganti, talvolta di grande pregio. Sta poi alle capacità commerciali e di marketing del paese stesso riuscire a farsi strada nel mondo del cacao, ma la via migliore è sempre quella di lasciare parlare il prodotto stesso, che ha parecchio da raccontare sulle sue buone caratteristiche.

di Roberto Caraceni

09 febbraio 2024